
Storie di feste
LA FESTA DEL “MAGGIO” e L’ALBERO DELLA CUCCAGNA
Ogni anno a Pietrapertosa, nel mese di giugno, si svolge la festa popolare del “Maggio” (in dialetto: Mascio), di origine antichissima. Un ricordo del rito pagano del matrimonio degli alberi che coincide con la ricorrenza della festa di Sant’Antonio, uno dei santi più venerati dalla comunità locale. Nella civiltà contadina da sempre l’albero è stato simbolo di prosperità, di forza, di pace. Fino quasi all’inizio del ‘900 tutta la Basilicata era piena di alberi. Soprattutto in queste zone dagli alberi veniva il minimo di sostentamento per la società agro-pastorale che viveva su una terra impervia ed avara. Gli alberi scandivano le cadenze stagionali e quindi anche il tempo. Perciò la festa era propiziatoria di una stagione di raccolto abbondante. La festa del “Maggio” a Pietrapertosa si perde nei tempi e si svolge sempre nello stesso modo, secondo l’antica tradizione, senza adattamenti e concessioni alla modernità. Una festa rimasta nei secoli inalterata e, per questo, affascinante nel suo aspetto semplice e primitivo.
IL “MAGGIO” E LA “CIMA”
Nel mese di giugno con natura ormai risvegliata, si celebra il rito dello sposalizio degli alberi. Il matrimonio si celebra tra un tronco scortecciato di cerro (albero maschio) detto anche “Maggio” e un grosso cespuglio di agrifoglio (albero femmina) chiamato “Cima”. Il cerro, grande e maestoso, è simbolo di forza; l’agrifoglio, pianta sempreverde del sottobosco è, invece, portatore di letizia e le sue bacche rosse esprimono gioia ed esultanza.
I due alberi vengono scelti e tagliati, alcuni giorni prima della festa, nel bosco di Montepiano (nella contrada più lontana del comune di Pietrapertosa), uno dei più grandi parchi boschivi italiani miracolosamente scampato al triste e dannoso disboscamento che per oltre un secolo ha afflitto la Basilicata (e l’Italia). Il taglio avviene rigorosamente a mano (senza aiuto di motoseghe) ad opera di boscaioli, a colpi di ascia. Il tutto accompagnato da suonatori di fisarmonica e da canti paesani e, cosa che non guasta, con adeguate libagioni.
I due alberi vengono trasportati da coppie di buoi che li trascinano per circa 15 chilometri, percorsi in tre giorni. Vengono utilizzate una dozzina di coppie che, oltre a trasportare i tronchi di riserva (ne vengono tagliati almeno sei), devono assicurare il cambio durante il percorso. La marcia è lenta; i buoi soffrono molto a spostare quegli enormi tronchi e, pertanto, le soste sono molto frequenti, soprattutto presso le fontane che si trovano numerose sul percorso. Ogni sosta è un rito. I massari lasciano liberi dal giogo i buoi, giocano a carte, suonano organetti e fisarmoniche e improvvisano danze con gentili donne che seguono il corteo. La sera prima della festa la carovana arriva in Paese. Un passaggio per le vie dell’abitato e poi il viaggio termina davanti al campanile del Convento di San Francesco, dove vengono lasciati il “Maggio” e la “Cima”. Il “Maggio” viene deposto per terra, pronto per essere, il giorno successivo, tirato (sempre a mano, con le funi) e sistemato in posizione verticale, accanto al campanile. La serata viene trascorsa nelle varie osterie (alcune delle quali improvvisate all’aperto) dove, sulle griglie, vengono preparate le caratteristiche pietanze del posto: pezzi di capretto, salsicce e, soprattutto, i “miglitielli” (pezzi di interiora di maiale o capretto). Ovviamente, per chi non è abituato a questo tipo di cucina, ci sono anche altri piatti caratteristici. Il tutto immerso nel folklore dei balli e dei canti paesani.
L’ALBERO DELLA CUCCAGNA
Il giorno successivo (la prima domenica dopo il 13 giugno) si svolge la festa. Di prima mattina la “Cima” viene unita alla estremità superiore del “Maggio” con spinotti di legno infilati nei fori, appositamente praticati, che attraversano gli incastri. Così dalla unione degli alberi nasce un nuovo albero che, nella prosecuzione della festa, diventa “l’Albero della Cuccagna”. Si procede, quindi, all’allestimento di questo albero. Ai rami della “Cima” vengono attaccati i bigliettini di carta con sopra indicato un premio, offerto dai bottegai del posto o da altri volontari che partecipano alla sponsorizzazione; sono premi di scarsa importanza: forme di cacio, ricotte, galline, prosciutti, ecc. Poi il tronco scortecciato del “Maggio” viene cosparso di sapone o paraffina. L’albero, così preparato ed ancora appoggiato alla ripida roccia che affianca il campanile, viene imbracato con le funi per essere alzato in piedi e posto nella posizione dovuta. Le funi vengono tirate a mano (senza aiuto di mezzi meccanici), da una decina di uomini disposti sulle arcate e sulle scale interne del campanile. L’operazione è difficile e rischiosa. L’albero minaccia continuamente di sbilanciarsi e cadere lateralmente. Le funi, se strisciano lungo gli spigoli di muratura del campanile, potrebbero tranciarsi. Gli uomini, privi di qualunque ausilio meccanico, devono fare sforzi incredibili. La folla, a poca distanza, segue la vicenda con qualche apprensione. Finalmente, dopo un’ora, con una vera prova di forza, gli uomini riescono a portare l’albero nella posizione verticale. Il tronco completamente liscio, con il ciuffo in cima, torreggia a pochi metri dal campanile. Quindi incomincia la gara per i premi. I cacciatori del paese, regolarmente autorizzati dall’autorità di polizia, muniti di doppietta, sparano a turno verso la cima, per abbattere i cartellini e aggiudicarsi le relative poste in palio. Dopo aver sparato ciascuno quattro volte a rotazione, i fucili zittiscono. I rimanenti premi verranno conquistati da chi riuscirà a salire a forza di gambe e di braccia i venti metri e passa del tronco nudo del cerro, reso scivoloso dalla paraffina. Lo spettacolo è avvincente. Diversi giovani si cimentano per scalare l’albero. Ormai chi ci prova è adeguatamente allenato, ma ugualmente occorrono diversi tentativi per vedere il primo concorrente raggiungere la cima. Lì rimane in bilico per dieci minuti a prendersi i premi posti sui rami più facilmente accessibili. Gli altri premi li lascia ai successivi scalatori. In tal modo se un secondo concorrente arriva in cima, dovrà fare maggiori equilibrismi ed assumersi qualche rischio in più per raggiungere gli altri premi. Il tutto viene seguito con curiosità (e preoccupazione) dagli spettatori. Finchè queste operazioni vengono completate, arriva la sera. L’albero della cuccagna viene abbandonato e la festa paesana si trasferisce tra le bancarelle, la banda musicale, i bar, fino a notte fonda. Così viene festeggiato a Pietrapertosa l’ingresso della nuova stagione
IL SIGNIFICATO DELLA FESTA
Ciò che più emerge da questa rievocazione è l’umana fatica, la forza delle braccia, il duro lavoro che in passato accompagnava la vita quotidiana. Oggi non è facile trovare boscaioli che sappiano tagliare robusti tronchi d’albero; i buoi, non più utilizzati per i lavori dei campi (perché sostituiti dalle macchine), hanno difficoltà a trasportare quei tronchi pesanti; La forza fisica non viene più utilizzata per lavorare. Anche i canti popolari, i cori, gli strumenti musicali, sono ormai in pochi a conoscerli e ad usarli. Chi non è più tanto giovane, e ha ancora ricordi della vecchia società, si accorge, anche in questa occasione, quanto ci siamo allontanati dal mondo dal quale proveniamo, ossia dalle nostre radici. La festa del “Maggio” è uno dei momenti più significativi per ricordare le nostre origini.